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la Regione Liguria incrementerà da 500 a 1.200 euro il tetto massimo del contributo mensile a favore

Sarà la Regione a contattare direttamente le persone che possono beneficiare del nuovo provvedimento disposto su delibera di Alisa.

Chi detiene un deficit psico-motorio può contare sul ricevimento della pensione di invalidità e su un ipotetico sussidio comunale di poche centinaia di euro che ogni comune di residenza, in base alla regione di riferimento, dovrebbe stanziare al beneficiante. Tutto ciò utile per ottenere una parvenza di indipendenza.

È evidente che allo stato attuale, a meno che una persona con disabilità non disponga di sue elevate disponibilità economiche o di un lavoro ben retribuito, si configura un futuro fatto di stenti. In tal senso, sembra che la Regione Liguria abbia trovato la soluzione a tale dilemma: in primis, vi è il proposito di incrementare da 500 a 1.200 euro il tetto massimo del contributo mensile a favore delle persone con disabilità gravissima; ciò è quanto prevede una delibera approvata da Alisa sulla gestione del Fondo della non autosufficienza dedicato specificamente a chi versa in queste condizioni; in secondo luogo, i beneficiari del contributo verranno contattati direttamente dai servizi territoriali, senza bisogno di presentare domande.

Secondo le stime della Regione in Liguria, a oggi, sarebbero oltre 600, ma il loro numero è destinato ad aumentare con l’applicazione da parte delle equipe distrettuali multidisciplinari dei nuovi criteri e parametri, stabiliti a livello nazionale, per identificare i soggetti che necessitano di questo sussidio. [Affinché si passi dalle parole ai fatti in breve tempo] “L’equipe multidisciplinare effettuerà una rivalutazione del Piano assistenziale individualizzato per una più appropriata quantificazione del contributo che, unicamente in base alla necessità assistenziale, potrà aumentare fino ad un massimo di 1.200 euro mensili” - ha spiegato Sonia Viale, vicepresidente della Regione Liguria e assessore alla Sanità.

Questa manovra vuole realizzare quanto era stato solo annunciato dalla precedente amministrazione che aveva previsto, in una fase iniziale di start up, il contributo massimo di 500 euro nella prospettiva, mai attuata fino ad oggi, di aumentarne l’importo. In base alle indicazioni ministeriali e a un principio di equità si dovranno commisurare i fabbisogni complessivi della persona con le risorse da erogare, considerate in modo integrato con quelle già destinate da parte dei Comuni alla non autosufficienza. Tutto questo è finalizzato al miglioramento della qualità e della quantità assistenziale. Oltretutto, il provvedimento approvato da Alisa parte dal presupposto di voler andare incontro alle necessità assistenziali della persona e della sua famiglia, riconoscendo anche in questo modo il prezioso lavoro di cura del “care-giver” familiare, sostenuto nel mantenimento a casa della persona con disabilità.

Onore al merito a Sonia Viale e al suo staff che con lungimiranza ha scelto di investire risorse economiche maggiori per perorare la causa della disabilità. Nonostante si auspichi che tali propositi non rimangano sulla carta ma si trasformino in azioni concrete; abbandonare una logica assistenziale per investire energie e specialmente risorse finanziarie, affinché tutti coloro che hanno una disabilità possano divenire una forza lavoro per le aziende, sarebbe più profittevole e vantaggioso per tutti.

Va precisato che, in questa sede non si vuole muovere una critica all'attuale amministrazione della Regione Liguria, la quale sta facendo il possibile per portare a compimento tale nobile progetto sociale, ma il vero dilemma è a monte del sistema politico-economico italiano dove, per assurdo, a una persona con una disabilità al 100% (in grado di svolgere il proprio mestiere) non viene data la possibilità di essere inserita in un contesto lavorativo perché, nella maggioranza dei casi, per via delle barriere architettoniche presenti talvolta nelle aziende stesse e anche nei palazzi delle istituzioni pubbliche, nonostante ci siano delle leggi (non obbligatorie) che regolamentino l’abbattimento delle barriere architettoniche sul suolo pubblico e privato, nessuno (o quasi) le prende in considerazione poiché compiere dei lavori di ristrutturazione comporta per qualsiasi piccola-media impresa dei costi notevoli. Di chi è la colpa in questo caso? Di un sistema economico-politico ancora troppo poco chiaro e incisivo riguardo a questo argomento specifico oppure per via di alcuni dirigenti, i quali nel cercare di ottenere un fatturato con più zeri possibile, ignora il potenziale di chi appartiene alle categorie protette? E' possibile proiettarsi in un’ottica di cambiamento che metta di comune accordo il lavoratore con disabilità e il suo datore di lavoro, ma anche tutto il tessuto economico/sociale e politico ripensando e ridistribuendo le risorse finanziarie a disposizione dando un maggior contributo a favore del mondo della disabilità (persone e progetti), pensando ad una ricollocazione di questi' ultime in altre questioni altrettanto importanti.



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